Agenda digitale, nel 2018 il fantasma del reset.

di Alessandro Longo

Ecco dove intervenire affinché le innovazioni dell’Agenda digitale tocchino i cittadini e l’economia reale. Parole chiave sono governance e competenze.

C’è un fantasma che si aggira sul futuro innovativo dell’Italia. E si chiama reset. Governance del digitale azzerata, dopo cinque anni di (relativa e travagliata) continuità. Ci sarà infatti, com’è noto, un nuovo Governo, e le scadenze del direttore generale dell’Agenzia per l’Italia Digitale e del Team Digitale Piacentini. I “direttori d’orchestra” del digitale in Italia insomma vanno via, su tutti gli ambiti dell’Agenda: la trasformazione della pubblica amministrazione, la banda ultra larga, industry 4.0, la cybersecurity.

È necessario ora non cadere preda dell’ansia per il futuro. E chiedersi con forza due cose, concetti magari da passare a chi fare il digitale in Italia nel 2018 (e oltre).

Primo: che cosa abbiamo fatto di buono in questi anni e quindi su cosa dobbiamo continuare, accelerando. Secondo: cosa fare per migliorare.

Dove accelerare

Per il primo punto, bisogna dire che sono successe più cose buone quest’anno che, probabilmente, tutti gli altri anni della legislatura. In particolare, è vero per il lancio del piano Industry 4.0, quello della cybersecurity, il piano triennale ict della PA, il nuovo codice dell’amministrazione digitale (e il relativo correttivo appena avviato).

Il 2018 deve servire a raccoglierne i frutti reali, come riflettono – negli articoli che stiamo pubblicando in questi giorni sul bilancio di fine 2017 – gli stessi stakeholder dai ministeri e dalla presidenza del Consiglio, autori dei rispettivi piani. Ossia, i frutti che arrivano alla popolazione, ai cittadini, all’economia reale. Tutto ciò non l’abbiamo ancora visto.

Lo stesso si può dire, in fondo, del piano Agenda digitale che è partito prima e che si è sviluppato di più: quello banda ultra larga. I benefici sulla popolazione li vedremo solo quando gli abbonamenti saranno arrivati ai livelli simili a quelli del resto d’Europa. Un traguardo che dipende da molti fattori, non solo dalla crescita della copertura, raddoppiata nell’ultimo anno (ora al 70 per cento della popolazione).

Come accelerare

Veniamo al secondo punto. Che fare per migliorare? Gli esperti sembrano concordare. Non abbiamo bisogno di nuove norme; né la soluzione sembra essere tecnologica. Ciò che fa la differenza adesso, nell’attuazione, è nelle persone. Perché ciò che serve è un forte impegno politico nel digitale. Una “buona politica”, che da una parte assicuri continuità a quanto di buono è stato fatto e dall’altra dia alla trasformazione le risorse di cui ha bisogno. A un livello più pratico, questo significa due cose. Primo, una governance più forte e collaborativa tra i diversi attori coinvolti (è importante in particolare per il ruolo delle Regioni e Comuni nel piano triennale, per la collaborazione degli stakeholder nella cybersecurity e per la Sanità digitale). Secondo, significa, in ultima analisi, fare crescere le competenze degli attori necessari: dei dipendenti della pubblica amministrazione, perché attuino il piano triennale e imparino a comprare meglio innovazione; dei docenti e dei formatori, per il piano nazionale scuola digitale; dei manager delle pmi, perché gli incentivi Industry 4.0 (Impresa 4.0) si tramutino in vera innovazione, quella in grado di rendere l’industria nazionale più competitiva.

L’importanza delle competenze è grande in particolare nelle PA, dove è stata penalizzata dal blocco delle assunzioni.

Le competenze: la leva decisiva, finora ignorata dalla politica. A questa conclusione sono giunti diversi esperti del nostro speciale, compresi quelli di Fpa e i membri della commissione parlamentare di inchiesta sugli sprechi pubblici della PA.

Ecco, se il 2017 è stato l’anno del decollo dei diversi piani attuativi dell’Agenda digitale, vorrei che il 2018 fosse l’anno del salto di qualità per le competenze (digitali) delle persone che devono rendere reale questa innovazione finora solo disegnata. Le competenze sono il necessario fertilizzante perché attecchiscano tutte quelle innovazioni. E si tramutano in alberi, di cui cittadini ed economia possano godere i frutti.

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